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Milano ama i bambini?
Scritto da Lucia Ingrosso, pubblicato da Oliverio Gentile il 15-06-2009 alle 22:53
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Milano ama i bambini?

La gravidanza prima e la nascita di mia figlia poi hanno innalzato il mio tasso di popolarità. Quando poi ci siamo trasferiti in zona 7, la mia bambina (che adesso ha due anni) è diventata la star del quartiere. Grande entusiasmo nel vicinato e pomeriggi di bel tempo a giocare tutti insieme in giardino, piccoli e grandi.
Le cassiere della Sma di via Novara che fanno a gara per rivolgerle sorrisi e complimenti. Signori anziani che si trattengono volentieri con noi, per parlare dei nipotini lontani.
In via Martinetti, la cartolaia Maria Luisa non fa mai mancare a Stella, come a tutti i bimbi della zona, caramelle e buffetti. La lavandaia poco più avanti la lascia giocare con campanelli e pupazzetti, le permette di far girare la “ruota” dei vestiti e lava i suoi abitini prima degli altri.
Nel negozio di borse di via Rembrandt, Stella è accolta come una trionfatrice e intrattenuta con scherzetti e giochi di magia, mentre il panettiere di via Milellire le regala grissini (o «titini» come dice lei).
Al Brico Center di Bande Nere se la coccolano tutti (e mi permettono di lasciare lì il passeggino se devo prendere la metropolitana con lei).
La mia è una bambina allegra e solare: l’entusiasmo e la gentilezza nei suoi confronti li ho sempre considerati naturali. Sbagliavo: ora so che devo apprezzarli di più.
Già, perché poi esistono anche infelici eccezioni. E sono inevitabilmente queste che fanno parlare di più. Ne racconto due, successe di recente e pochi giorni di distanza.
Spaccio della Zucchi in via Lorenzetti. Entro per acquistare un lenzuolo. All’ingresso, Stella vede un trolley a forma di orsetto e se ne innamora. Glielo do, perché si diverta mentre faccio acquisti. Dieci minuti dopo, si avvicina una commessa che strappa alla mia bambina il trolley. Mentre questa biascica un «Così non si sporca», Stella scoppia a piangere disperatamente, per la sorpresa e la brutalità del gesto. Io rimango un attimo in dubbio – fra le lenzuola da acquistare e il comportamento da adottare – poi opto per una rapida uscita dal negozio. Senza acquisti. Posto che comprendo la preoccupazione della commessa che un prodotto si possa sporcare, credo che la signora dovesse intervenire in tutt’altro modo.
Primo, essendo più gentile con mia figlia.
Secondo, accertandosi con me se volessi acquistare il trolley (e lo volevo, avevo anche visto il prezzo: 9,90 euro).
Terzo (ma questa è una cattiveria, me ne rendo contro), pulendo meglio i pavimenti.
Mi sono appena ripresa da questa disavventura, quando un’amica (madre di una compagna del nido di Stella) mi chiede consiglio su dove far tagliare i capelli alla sua bimba.
«No problem! – dico io – Conosco un posto qui vicino: sono bravi e gentili». Io ci sono già andata due volte: 5 euro per spuntare la frangetta, 10 per un taglio completo della mia piccolina.
Andiamo dal parrucchiere I Lanni, di via Rembrandt 47. I tagli delle due bimbe procedono abbastanza bene, le ragazze sono gentili. La sorpresa è alla cassa, dove ci chiedono 20 euro a testa (per testoline piccole piccole, niente shampoo e un taglio durato pochi minuti).
La mia amica (perplessa ma ignara) paga senza fiatare. Io, sbalordita, protesto: «Ma un mese fa costava 10!».
Il titolare (o chi per esso) mi guarda con un’espressione che non saprei se definire più ostile o più ottusa. «E adesso costa 20» mi dice. Per non fare storie (e non creare imbarazzo alla mia amica) pago. Ovviamente, appena fuori, commentiamo questo esorbitante aumento del 100%. E la chiara intenzione dell’illuminato (sia detto ironicamente) negoziante di non avere più bambine fra i piedi.
Poi, per consolarci, andiamo alle giostrine di via Rembrandt (angolo viale Aretusa).
«Queste giostre me le ricordo quando ero piccola» dice la mia amica.
«Allora c’era mio padre» spiega il gestore, che si dimostra gentilissimo con le nostre bambine. E ci restituisce un po’ di fiducia in questa Milano non sempre con il cuore in mano.


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