"Chi Bussa? Toh, una pista ciclabile...
Molti sono, purtroppo, gli esempi negativi che, in tema di mobilità ciclistica, la nostra città offre. Ma se c'è, a Milano, una situazione emblematica della ciclabilità negata, se volessimo indicarne concretamente una, potremmo dire che essa si trova sul cavalcavia Eugenio Bussa.
Qui raccontiamo una storia di degrado, di cattiva amministrazione e di arroganza nei confronti della società civile che è finita in Tribunale: Ciclobby e Fiab hanno citato in giudizio il Comune di Milano. Vi spieghiamo perché.
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Se c'è, a Milano, una situazione emblematica della ciclabilità negata, calpestata ed offesa, potremmo dire che essa trova nel cavalcavia Eugenio Bussa un esempio significativo.
Il cavalcavia, realizzato nel corso degli anni Ottanta, idealmente parallelo al ponte di via Farini, si trova nel Quartiere Isola e permette il superamento della stazione ferroviaria di Porta Garibaldi, congiungendo via Quadrio con via Borsieri.
Si tratta di poche centinaia di metri di manufatto che, da oltre venti anni, offrono alla vista di chi vi transita una situazione fatta di incompiutezza, precarietà, scarsa sicurezza, inutile gigantismo.
Sopra questa cicatrice del tessuto urbano, alla fine degli anni '90 del secolo scorso, con uno di quegli interventi mal congegnati che caratterizzano da diversi lustri l'attività del Comune di Milano in tema di mobilità ciclistica, (attraverso la moltiplicazione di interventi miseri, spesso anche tecnicamente mal concepiti, privi di una visione complessiva di insieme e di continuità, mancanti di un "effetto rete" e dunque condannati sul nascere alla inutilizzabilità, con colpevole dispendio di risorse pubbliche) fu costruita, lungo la campata del ponte, una pista ciclabile in sede propria, contromano rispetto alla direzione del traffico veicolare, che fu però lasciata priva degli accessi ciclopedonali in ingresso e in uscita dal cavalcavia.
Avete inteso bene: la pista ciclabile, progettata e realizzata dagli uffici tecnici del Comune di Milano, è dal 1998 (sic!) un moncherino ettometrico senza capo né coda, che inizia e termina sul cavalcavia Bussa e non permette a chi la voglia utilizzare di accedere al suo percorso, e ancor meno di accedervi in condizioni di sicurezza.
Oltre ad essere inutile, tale pista ciclabile è dunque anche pericolosa: chi la percorre nel senso del traffico veicolare, che lì scorre a velocità sostenuta, deve infatti gettarsi a sinistra della carreggiata per dirigersi verso l'imbocco della pista posizionato subito dopo la fine della rampa di accesso; chi invece la percorra in direzione opposta, come la stessa segnaletica consente, si trova ad affrontare, dopo un muro, una discesa in curva e contromano, privo di qualsivoglia protezione. Salva la macchinosa ipotesi che, nello scrupoloso rispetto delle norme del Codice della strada, il ciclista scenda dal proprio mezzo conducendolo a piedi sino all'inizio della pista, da qui rimonti in sella percorrendo i cento metri di rettilineo in sede ciclabile, indi ridiscenda nuovamente a piedi, attraversi il passaggio pedonale in prossimità della curva, salga sul tratto di marciapiede laterale per poi sollevare
la bici e scendere lungo la scalinata che riporta al piano stradale, riprendendo il percorso in bici: francamente, ci sembra qualcosa che ha maggiore attinenza con una gara di decathlon, che non con lo sviluppo di una mobilità urbana quotidiana in bicicletta, accessibile a tutti.
Il Comune di Milano rivendica orgogliosamente questo modo di gestire la mobilità ciclistica, se è vero che, anche in tempi piuttosto recenti, dopo avere dato i numeri sul chilometraggio delle piste ciclabili costruite in città negli ultimi anni (cresciute, con le due giunte guidate dal Sindaco-Commissario al Traffico Albertini, nientemeno che da 35 a 70 km e oltre), l'assessore competente ha risposto a chi gli segnalava che il computo delle piste milanesi è formato in massima parte da spezzoni inutilizzabili affermando che "in futuro" questi saranno collegati.
Ma il futuro, si sa, è per definizione "sulle ginocchia di Giove" e i ciclisti milanesi si interrogano da ormai molti anni sul significato che questo tempo verbale ha per loro.
Ebbene, Fiab CICLOBBY, sin dal termine dei lavori di costruzione della pista ciclabile sul cavalcavia Bussa, ne ha ripetutamente segnalata la inutilizzabilità e la pericolosità, in mancanza di quelle necessarie opere di raccordo che dessero continuità e sicurezza al percorso sull'intero manufatto. Ma restava una voce invocante nel deserto: gli anni (ad oggi sette) sono trascorsi nella più totale assenza di risposte e di interventi da parte dell'Amministrazione comunale e nel frattempo l'intera area veniva toccata da un progressivo degrado, tanto ovvio quanto facilmente constatabile da chiunque: bottiglie e vetri rotti lungo la pista ciclabile; una macchia di vegetazione selvatica protesa sulla carreggiata lungo le rampe del ponte a rendere ancora più difficile la visibilità e la sicurezza di ciclisti e pedoni. Neppure sono mancati atti di vandalismo: ignoti, forse desiderosi di dare un senso e un completamento ad un'opera progettata e
realizzata male, tracciavano un ideale proseguimento della pista ciclabile verniciando in modo palesemente artigianale l'asfalto in prosecuzione della linea dell'itinerario già realizzato, seppur solo parzialmente. Qualche anno fa, Ciclobby condusse su quella pista ciclabile anche una conferenza stampa itinerante.
La gravità della situazione complessiva sul cavalcavia Bussa e le sue immediate adiacenze (dove sorge anche una scuola materna) era tale da indurre nell'ottobre 2004 il consigliere Sandro Antoniazzi, capogruppo dell'opposizione a Palazzo Marino, a presentare un'interrogazione all'assessore al Traffico sulle molte criticità ivi presenti.
Qualche mese più tardi, attraverso la risposta fornita dall'assessore Goggi all'interrogazione di Antoniazzi apprendevamo un particolare che, coinvolgendo le nostre associazioni, ci lasciava esterrefatti.
In un passaggio della relazione di accompagnamento, due importanti funzionari della Direzione Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica, l'arch. Scalia e l'ing. Stefani, scrivevano infatti testualmente quanto segue: "(...) La documentazione fotografica allegata dimostra quanto eseguito spontaneamente e non a norma da Ciclobby e dalla FIAB con linea continua e biciclettina gialla; a tal proposito la Vigilanza di Zona deve intervenire affinché cancelli quanto abusivamente realizzato ed emetta le relative sanzioni, previste dal Codice della strada. Pertanto si ritengono responsabili le associazioni, per qualsiasi incidente che si verificherà nel tratto sopra citato".
Con parole in libertà, e forse per distogliere l'attenzione dalle responsabilità dei propri uffici connesse a gravi inadempienze, per lungo tempo inutilmente segnalate dai cittadini e messe a nudo anche dalla interrogazione consiliare, l'Amministrazione civica lanciava dunque accuse pesanti e non provate nei confronti delle associazioni Ciclobby e Fiab che, in ambito locale e nazionale, statutariamente si occupano, da anni, di mobilità ciclistica e sostenibile, di sicurezza stradale, con grande impegno e competenza da molti anche pubblicamente riconosciuti.
L'Amministrazione lo faceva, per giunta, in modo subdolo, senza un confronto diretto con le associazioni destinatarie di quelle illazioni e tantomeno senza procedere a una loro denuncia nelle sedi competenti.
Sicché, a parte l'assurdità di non riuscire ancora a discutere in modo efficace sulle responsabilità, anche progettuali, in merito alla costruzione di una pista ciclabile palesemente incompleta (in quanto mancante di un senso origine-destinazione) e insicura, su cui sono state spese risorse pubbliche senza dare un risultato apprezzabile per la città, abbiamo ritenuto necessario reagire al modo paradossale con cui il Comune di Milano, con modalità sicuramente non appropriate alla funzione istituzionale che gli compete e comunque al di fuori di qualsiasi limpido contraddittorio, ha preteso di attribuire un atto vandalico realizzato da ignoti alla responsabilità delle due associazioni, addirittura giungendo ad affermare una responsabilità delle stesse per eventuali incidenti stradali che si fossero nel frattempo verificati.
A marzo 2005 scrivevamo dunque all'assessore al Traffico Goggi e al Sindaco Albertini respingendo l'attribuzione della paternità dell'atto vandalico alle associazioni da noi presiedute, contestando la pretestuosa inversione di responsabilità e mettendo in mora il Comune per la realizzazione di tutte le opere necessarie alla messa in sicurezza della circolazione pedonale e ciclistica sul tratto in questione. Qualche giorno dopo anche il consigliere Antoniazzi interveniva in nostro sostegno chiedendo la rettifica della relazione della Direzione Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica nel punto da noi contestato.
Sono trascorsi mesi in assenza di riscontri, mentre alcuni timidi interventi di risistemazione cominciavano ad essere effettuati sul cavalcavia, ad esempio con la potatura della sovrabbondante vegetazione selvatica segnalata.
A giugno 2005, persistendo il silenzio dell'Amministrazione sulla nostra richiesta, ci rivolgevamo nuovamente all'Assessore e al Sindaco per deplorare la mancata risposta ad una doverosa esigenza di chiarezza che avevamo evidenziato e in vario modo sollecitato. E lo stesso consigliere Antoniazzi, con autonoma iniziativa, ulteriormente sollecitava una specifica risposta in merito alla rettifica già richiesta.
Essendone seguito, anche in questo caso, solo un lungo, ostinato, aggressivo silenzio, durato mesi e mai interrotto, dopo avere atteso con pazienza una risposta che non è mai arrivata ci siamo trovati costretti, nostro malgrado, a ricorrere alla tutela delle nostre associazioni in sede giudiziaria.
Diciamolo chiaro: non ci piace questo tipo di dialettica con le istituzioni, con le quali preferiremmo poter avere un dialogo franco e reciprocamente rispettoso, anche quando ci si trovi su posizioni non condivise.
Ma, crediamo, comportamenti istituzionali rissosi come quelli che abbiamo inteso censurare, mentre da un lato fomentano conflitti verticali (tra istituzioni e cittadini), e frustrano la volontà collaborativa che spesso emerge dalla comunità civile anche attraverso la preziosa opera del volontariato associativo, dall'altro mal si prestano alla ricerca di soluzioni efficaci ai problemi che i cittadini segnalano e di cui vorrebbero poter costruttivamente discutere.
Sono cattivi esempi che devono cessare.
Per questo, siamo convinti, simili comportamenti non possono più essere tollerati.
Ciclobby e Fiab hanno per tali motivi citato in giudizio sia gli estensori materiali della relazione contestata, i due funzionari della Direzione Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica più sopra nominati, sia il Sindaco Gabriele Albertini, in qualità di rappresentante legale del Comune di Milano.
Ora la causa è in corso e qualsiasi valutazione sarebbe prematura.
Ma non si può fare a meno di dare conto di alcuni particolari delle prime battute del processo (qualche settimana fa si è svolta la prima udienza). E in special modo di quello che ad alcuni di noi è parso come un grossolano tentativo di "scaricabarile".
Infatti, da una parte la difesa dei due funzionari afferma che i dipendenti dell'amministrazione non possono essere da noi chiamati in giudizio, perché unica responsabile dei loro atti è l'Amministrazione presso la quale essi sono impiegati. Tuttavia, nello stesso momento in cui chiedono di essere esclusi dal processo, quasi fossero due passanti qualsiasi, i due funzionari non rinunciano ad accusare, appoggiandosi ai loro personali pregiudizi (rivendicati in nome della libertà di pensiero, costituzionalmente garantita), Fiab e Ciclobby di avere realizzato l'abusiva manomissione della segnaletica sul cavalcavia.
Dall'altra parte, l'Amministrazione comunale, nel momento stesso in cui si è costituita, ha specificato di offrire "tutela al solo ente comunale e non pure ai dipendenti convenuti" per i quali auspica che sappiano dare risposta ai fatti loro contestati, escludendo comunque qualsiasi tipo di responsabilità del Comune, in quanto il documento nel quale si trovavano le affermazioni contestate (la relazione della Direzione Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica) era, a loro dire, un "mero atto interno" dell'Amministrazione e non invece un atto pubblico.
Riassumendo, è un po' come entrare nell'antro di Polifemo. Inutile chiedere chi è stato, di chi è la colpa, la risposta è invariabilmente una sola: "Nessuno".
Dirà il processo quanto questa difesa possa essere efficace.
Quel che è grave è che, sino ad ora, nemmeno un atto di citazione in giudizio ha avuto la forza di sradicare i silenzi di questi anni: i dipendenti vorrebbero addirittura non far parte di un processo riguardante una dichiarazione da loro stessi resa. L’Amministrazione si lava le mani dell’operato dei suoi dipendenti e tenta di celarsi dietro a una sorta di cavillo giuridico (con una pretesa di distinguere il grado di offensività di una dichiarazione falsa a seconda che si tratti di atto pubblico o di atto interno).
E’ quello che ci saremmo aspettati, forse, da difese svolte in favore di privati cittadini, non di un’Amministrazione pubblica, essendo chiaro a tutti, come affermazione di comune buon senso, che l’Amministrazione e gli Uffici che la compongono costituiscono un ente di gestione della cosa pubblica il quale, abbandonati i livori personali, se è nel diritto, è bene che difenda le sue ragioni in maniera analitica e dettagliata, mentre se è nel torto, occorre che ne dia atto semplicemente, giusto in virtù di quell'interesse pubblico che è chiamato a tutelare in ogni sede.
Tralasciando altre considerazioni, se si volesse invece seguire la rappresentazione data dalle nostre controparti, la situazione sarebbe dunque la seguente:
Fiab e Ciclobby sono responsabili per un comportamento antigiuridico di ignoti loro attribuito in base a mere supposizioni. Per converso, il Comune di Milano non è responsabile, in alcuna delle sue articolazioni, per un atto pacificamente ad esso attribuibile, ancorché deliberatamente non rispondente al vero (né alla verità storica, né a quella processuale).
C'è da essere indignati per questo modo di rispondere dell'Amministrazione civica milanese. Che si dimostra politicamente e giuridicamente irresponsabile, nel senso etimologico del termine: cioè che "non risponde".
Il rifiuto del dialogo e del confronto civile sembra essere stata, in molti casi di questi anni, la cifra caratteristica di questa Amministrazione. Di questa scarsa limpidezza coloro che sono a vario titolo responsabili devono essere chiamati a dare conto. Noi chiediamo che ognuno si assuma la responsabilità che gli è propria: politica, per i comportamenti politici; giuridica, per gli atti e i comportamenti giuridicamente rilevanti.
Per quanto riguarda questi ultimi, e sulla specifica vicenda sopra descritta, il 20 settembre si svolgerà l'udienza di comparizione delle parti davanti al giudice. Vi terremo informati sugli sviluppi della causa. Documentazione del caso è disponibile a richiesta.
Eugenio Galli (presidente Fiab CICLOBBY onlus)
Luigi Riccardi (presidente FIAB onlus)
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MILANO - Fiab CICLOBBY onlus (via Borsieri 4/E - tel. 02.69311624)
http://www.associazioni.milano.it/ciclobby
<ciclobby@associazioni.milano.it>
Anche su Rete Civica di Milano - www.retecivica.milano.it -
(con forum pubblico: <ciclobby-ld@rcm.inet.it>)
nell'area ConferenzAmbiente
http://www.retecivica.milano.it/conferenzambiente
ITALIA - Federazione Italiana Amici della Bicicletta (FIAB onlus)
http://www.fiab-onlus.it <info@fiab-onlus.it>
EUROPA - European Cyclists' Federation (ECF)
http://www.ecf.com <office@ecf.com>
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