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qualche notizia vera sulla scuola di via Quaranta
Scritto da Sandro Antoniazzi, pubblicato da Oliverio Gentile il 9-09-2005 alle 11:39
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Ad un anno di distanza si riapre la “querelle” della scuola di via Quaranta.

È una scuola, se mi si consente la battuta, che dovrebbe essere tenuta aperta anche solo per avere l’occasione di questa annuale gara ideologica nazionale.

L’anno scorso il tema era la classe “islamica” dell’Agnesi. Ricorderete la questione. Una scuola milanese, l’Agnesi, aveva deciso di ospitare (in accordo con le superiori autorità) l’esperienza di una classe di prima superiore riservata solo a ragazzi di origine araba.

Da alcuni dei massimi intellettuali italiani furono lanciati anatemi contro questa visione separatista. In realtà si trattava (per il periodo di un anno) di fare un’azione di recupero intensivo dei ragazzi che ,avendo studiato prevalentemente  in arabo, non erano in grado di inserirsi adeguatamente nelle scuole superiori pubbliche.

La scuola di via Quaranta è sorta più di dieci anni fa come scuola consolare egiziana; alla fine dei corsi, a 14 anni, i ragazzi hanno un titolo egiziano che per il principio dell’equipollenza ha valore anche in Italia: formalmente potrebbero frequentare le scuole superiori italiane, nei fatti non ne sono preparati.

La scuola di via Quaranta non è una madrassa (scuole dove si impara solo il corano salmodiandolo) e neppure una scuola islamica (non si insegna l’islam): si insegnano in lingua araba i programmi scolastici egiziani sui relativi testi.

L’ampliamento delle iscrizioni (oggi circa 400) e soprattutto l’impatto crescente coi problemi di integrazione, hanno fatto capire che questo modello era assolutamente inadeguato.

Si è sviluppato pertanto un processo costante e progressivo di “italianizzazione” e di “legalizzazione”. Ad esempio oggi tutti i ragazzi delle scuole elementari a fine anno si presentano alle scuole pubbliche per l’esame di abilitazione;altrettanto ci si stava preparando a fare per le medie.

Ma certamente la struttura è inidonea ed anche la soluzione istituzionale è fragile.

Da qui la decisione di avanzare la richiesta di una prima forma di legalizzazione complessiva come scuola per stranieri in Italia (la scuola è legalizzata, ma ogni anno gli studenti devono sostenere gli esami pubblici) e successivamente una seconda domanda (ancora da presentare, ma pressoché pronta) di riconoscimento di scuola paritaria per la prima classe elementare, con l’impegno di proseguire poi con le altre classi, come previsto dalla legge.

L’accordo del Comune di Milano – che è dimostrato da lettere scritte – prevedeva che se la scuola avviava la procedura di riconoscimento l’Assessorato avrebbe concesso una nuova sede adeguata.

Qui sta il problema.

La sede di oggi è inadeguata; se la scuola avvia la procedura deve avere una sede idonea (quella del Comune) per avere il riconoscimento.

Oggi il Comune con un voltafaccia vergognoso ed irresponsabile rispetto a quella che ha scritto sostiene che darà la sede quando la scuola sarà riconosciuta: ma come fa ad essere riconosciuta se non ha una sede idonea?

Tutti i passi fatti quest’anno dalla scuola sono stati concordati col Comune e dovevano trovare sbocco in una soluzione definitiva; il Comune non solo tradisce la parola data e non offre più una sede idonea, ma oltretutto invia una lettere di diffida invitando a chiudere la scuola di via Quaranta.

E i quattrocento ragazzi dove vanno? Come se si potessero infilare nelle scuole pubbliche in qualche modo, senza preparazione, supporto, relazioni adeguate.

C’è chi sostiene che comunque la soluzione ideale è l’inserimento nella scuola pubblica: sono pienamente d’accordo e già avviene per il 99% dei ragazzi arabi.

Ma è possibile che non possano realizzare anche per un caso specifico che richiede una soluzione ad hoc una loro scuola, legale, paritaria (85% di programmi italiani e insegnanti italiani) e che siano i “liberali” della cosiddetta Casa della Libertà a dire che devono andar esclusivamente nelle scuole pubbliche?

C’è o c’è stato un problema reale che è giusto ricordare: attaccata alla scuola c’è anche una moschea che ha avuto un passato diciamo “tumultuoso”. La scuola ha una gestione del tutto separata e la decisione di chiedere il riconoscimento è anche una decisione di distacco totale da una realtà adulta come la moschea, che ha problemi diversi.

Purtroppo l’attacco di Magdi Allam, del tutto infondato, ha messo insieme le due cose descrivendola come una scuola di violenza e di catechismo fondamentalista.

Assolute falsità, ma che fanno leva sul richiamo alla moschea chiacchierata.

E così Milano, città che si dice internazionale, invece di pensare ai grandi temi della multiculturalità non è in grado, per vigliaccheria, di affrontare e risolvere l’integrazione di alcune centinaia di bambini stranieri.

Quattrocento bambini arabi fanno paura al Comune di Milano.



Sandro Antoniazzi



9 settembre 2005


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