... quello sanremese del musicista quale poltrone vagolante fra strazi del cuore e spiagge galeotte. Berio la chiamava "musica imbecille", ma il suo non era snobismo gratuito. L'aggettivo "imbecille" significa anche "futile, frivolo, insensato", e io che non sono certamente Berio mi attaccherei però ugualmente a quest'ultima definizione: insensato (in realtà la musica di Sanremo non è insensata, un senso ce l'ha. Senso elementare, stracci di senso, senso commerciale della musichetta che ti si incolla all'orecchio come una gelatina, ma c'è). La ricerca o creazione di un senso è, secondo me, la parte più divertente (e rischiosa) del lavoro di un uomo: chi vi dedica una vita, chi cinque minuti, chi lascia che lo decidano altri
per lui. Ho trovato un articolo interessante (link
qui), e che mi pare alla portata di tutti, tanto per riscattare una categoria che ultimamente sembra soffrire -come dire- di "sindrome di McDonald's": "o vendi 30 milioni di pezzi (dischi) o non sei musicista". Strano capovolgimento di valori. Secondo un mito romantico in voga fino a nemmeno tanti anni fa, il musicista **deve** essere l'eterno poveraccio sconosciuto e imcompreso, che vive di stenti, si droga, beve, fuma, si alza alle due di pomeriggio e, distratto dalla rivelazione di una qualche melodia celeste, inciampa e cade in un fosso mentre passeggia in cerca della dose (e invece, nessuno vorrà affermare seriamente che ciò che resta dei Beatles se la passa così male). E invece, fosse vivo oggi e per quanto oziosi siano gli accostamenti fra epoche diverse, Bach fumerebbe tranquillamente la sua pipa, avrebbe il
riscaldamento autonomo, userebbe senz'altro il computer, utilissimo prolungamento della mente umana quando ben impiegato, e chiamerebbe i bambini di Sarnemo "Klavierrittern" (gossomodo sarebbero i "cavalieri della tastiera", insomma quelli che ci vanno su con gli zoccoli e galoppano, quelli della "musica imbecille" dei tempi di Bach)...
:-)