Fahrenheit 9/11
Data: 13-09-2004 alle 12:26
Argomento: Arte e Sapere


Dopo l’acuta indagine di Bowling a Columbine sulla mania statunitense per la detenzione e l’uso di armi, con Fahrenheit 9/11 Michael Moore fa il punto politico e sociale sul post 11 Settembre. Il “docufilm” vincitore del Festival di Cannes 2002 svolge opera di contro-informazione denunciando i reali interessi che stanno sotto alla guerra dell’Iraq e mostrando Bush per quello che presumibilmente è, un uomo di cervello molto limitato, eletto, con l’ausilio dei brogli elettorali, capo del paese più potente del mondo. (Fra parentesi, notiamo che alle stordite espressioni facciali di George W. si devono alcuni dei momenti più dissennatamente divertenti del film).




FAHRENHEIT 9/11 (Usa, 2004)
Regia: Michael Moore
Fotografia: Mike Desjarlais
Montaggio: Kurt Engfehr, Christopher Seward, T. Woody Richman
Musiche: Jeff Gibbs
Prodotto da: Kathleen Glynn, Jim Czarnecki
Produzione: Dod Eat Dog Films
Distribuzione: Bim
Durata: 112

Dopo l’acuta indagine di Bowling a Columbine sulla mania statunitense per la detenzione e l’uso di armi, con Fahrenheit 9/11 Michael Moore fa il punto politico e sociale sul post 11 Settembre. Il “docufilm” vincitore del Festival di Cannes 2002 svolge opera di contro-informazione denunciando i reali interessi che stanno sotto alla guerra dell’Iraq e mostrando Bush per quello che presumibilmente è, un uomo di cervello molto limitato, eletto, con l’ausilio dei brogli elettorali, capo del paese più potente del mondo. (Fra parentesi, notiamo che alle stordite espressioni facciali di George W. si devono alcuni dei momenti più dissennatamente divertenti del film).
Scegliendo un montaggio e un linguaggio di stampo veloce e diretto, Moore passa in rassegna una serie di fatti più o meno noti, documentandoli e commentandoli in modo ironico e provocatorio: dalla discutibile elezione di Bush alla tragedia dell'attentato alle torri gemelle, agli oscuri giochi economici e politici successivi, tra i quali spicca il favoritismo nei confronti dei cittadini sauditi e dei membri della famiglia Bin Laden residenti negli USA; il punto d’arrivo è la politica paranoica degli USA verso “la minaccia”, basata su un senso di pericolo generale, ineffabile e apocalittico (la stessa atmosfera, per chi ha memoria, dei tempi della guerra fredda, o anche della non meglio definita minaccia di invasioni dallo spazio), che sfocia nelle guerre contro paesi lontani. E che, guarda caso, sono ricchi di petrolio. E i cui soldati vengono reclutati con mezzi ingannevoli tra le classi sociali più disagiate e dimenticate del paese.
I parlamentari a favore della guerra, che parlano del dovere di intervenire, intervistati personalmente da Moore, guarda caso i loro figli in Iraq non li manderebbero mai. “E perché dovrebbero?”, argomenta Moore. “E’ più che comprensibile non mandare alla morte ciò che si ha di più caro, in nome di interessi economici nelle mani di pochi altri”. Come vale per i parlamentari, questo semplice ragionamento dovrebbe valere per tutto il paese: invece, è nel suo tradimento e travisamento che si misura tutta l’ipocrisia della classe dirigente americana. La prospettiva di Moore non appare né come antiamericana né tantomeno come filoaraba: l’intento sembra essere invece quello di riequilibrare un discorso falsato e evidenziare le vere priorità dell’America, che sono di limpidezza gestionale e di esigenza di politiche sociali valide.
Pertanto Moore denuncia Bush in primo luogo come bugiardo e ingannatore, vero e primo traditore di una patria tanto sbandierata nelle dichiarazioni d’intenti quanto violentata nei fatti: perché il migliaio crescente di soldati americani morti nella devastazione dell’Iraq nient’altro che per gli interessi petroliferi di alcune famiglie di magnati strettamente legate all’entourage di Bush, costituisce una grande ferita per l’America e in realtà un atto di indifferenza per l’anima profonda del paese. Moore, che come già detto non è antiamericano, anzi ama molto la sua America, con abilità si serve di ipotesi documentate, testimonianze, interviste, retorica, sentimento, ironia, per mettere insieme un quadro che dia voce e dignità al popolo americano ingannato e deriso da una manica di delinquenti capeggiati da un idiota. Questa è la tesi di Fahrenheit 9/11, film dichiaratamente “di parte” ma proprio per questo guardabile per quel che è, senza trucchi per fare passare messaggi sottobanco. Se l’insieme di documenti e testimonianze assemblate con buon ritmo e leggerezza – nonostante la pietas inevitabilmente suscitata da tanto orrore, e si veda per esempio l’importante figura della madre di un soldato morto in Iraq, o lo sgomento di soldati sensibili disgustati dalla guerra, così come, specularmente, l’ottusità violenta di altri soldati esaltati dall’idea della distruzione – riusciranno a fare ragionare e dubitare gli spettatori, e a indebolire il consenso a Bush, Moore potrà dire di aver raggiunto il suo scopo.



dal Forum I FILM



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