La città
Data: 15-03-2006 alle 12:13
Argomento: Rete Cittadini Milano


Gianluca Boari, nel corso di una discussione in "Rete Cittadini Milano", ha posto...

Gianluca Boari, nel corso di una discussione in "Rete Cittadini Milano", ha posto le seguenti domande (le trascrivo in rosso):

Che politiche può fare un Comune per i giovani in più di quello che è stato fatto???

A me, nel mio piccolo, piacerebbe fare dei concorsi per i giovani artisti nelle zone affinchè vengano promossi i loro talenti piuttosto che rischiare di vederli buttare via la propria vita.
Sento sempre parlare genericamente di politiche per i giovani ma non vorrei che ci riferisse ai soliti centri sociali da foraggiare con fondi pubblici...

Proposte concrete?

A me sembrano domande assai interessanti, sulle quali sviluppare un dibattito a sè. Benché mi renda conto che le visioni di come debba essere una città sono spesso assai diverse fra chi sta a destra e chi sta a sinistra, mi auguro che alla fine si riesca a discutere di un'idea di città a prescindere dagli schieramenti. Vedremo come va :)

Non penso che una città debba essere a misura anagrafica, per cui non immagino una città a misura di giovane o di anziano, nemmeno penso che la città debba essere a misura di donne o di uomini. Penso però che la città debba essere a misura umana, cioè che debba regolare la sua organizzazione in base a parametri che tengono conto delle normali attività umane, di notte come di giorno, al lavoro come nel tempo libero.

Basta ? No, non basta. Una città a dimensione umana tiene conto anche delle caratteristiche specifiche che contraddistinguono il genere umano. La voglia di conoscere come la voglia di socializzare. La voglia di muoversi come la voglia di riposare.

Immagino perciò una città che sa identificare i posti giusti per soddisfare le caratteristiche individuali e che sa rendere accessibili quei posti a chiunque, senza costringerlo ad usare inutilmente l'auto e senza richiedere che costui sia una specie di atleta in grado di superare ostacoli di ogni genere. E' difficile ? Sì, è difficile perchè adeguare la città ai nuovi bisogni costa e non è semplice per nessuno. Forse più che di nuovi bisogni occorrerebbe parlare di nuove consapevolezze della diffusione generalizzata di bisogni per nulla nuovi. Chiunque amerebbe poter ascoltare della buona musica o reperire un buon libro o passare qualche ora in sereno relax ma forse una volta queste aspirazioni potevano essere soddisfatte solo da una élite relativamente ristretta mentre oggi, essa rappresenta un'aspirazione possibile per molti.

Per ipotizzare una città a misura umana occorre però partire dalla sua progettazione. Milano, ovviamente, esiste da molto tempo e progettarla significa riprendere in mano la sua organizzazione amministrativa e verificarne l'efficacia. Ne ho parlato in altre circostanze ma, visti gli obiettivi, voglio ripetermi.

Milano, anzitutto, non può più consentirsi una gestione accentrata a Palazzo Marino. Non tanto perchè sia grande dimensionalmente ma perchè è grande in termini di numeri socio-economici e la stabilità di questi valori fa a pugni con i termini di efficienza necessari a consentirne un ulteriore sviluppo. La perdita di circa tre punti di PIL in pochi anni prova, ad esempio, che la città non sta minimamente mettendo a frutto, nel campo della ricerca, la presenza di grandi poli universitari e che in questa città non vengono sviluppate sinergie fra i diversi comparti che da sempre le hanno dato un primato: la finanza, la grande impresa, il commercio. Intendiamoci, so bene che la grande impresa è in difficoltà ovunque ma qui a Milano essa era complementare alla piccola e media impresa in modo biunivoco e non, come nella provincia torinese, in modo monodirezionale rispetto alla FIAT (di cui la piccola impresa rappresentava di fatto l'indotto).

Milano non può consentirsi di essere gestita in modo accentrato nemmeno sotto il punto di vista culturale perchè il "centro città"  rappresenta un'anomalia rispetto alla città stessa. Un'anomalia dovuta al grande peso storico della mediolanum che annulla, in modo ingiustificato, l'esistenza della storia anch'essa antica di antichi comuni esterni alla cinta dei navigli. La valorizzazione degli ex-comuni avrebbe consentito la costruzione di una città "policentrica" in grado di acquisire sedi di banche, di enti pubblici e di imprese anche nella periferia valorizzandone anche il ruolo sotto il profilo economico.

Come ben sà chi abita in periferia e si sposta per lavoro verso il centro lo spostamento non comporta solo il disagio del trasporto su mezzi affollati e rallentati da un flusso incessante di auto. Esso comporta anche che le principali attività commerciali e culturali si ricollocano spontaneamente attorno al centro.
E' questo, uno dei principali fenomeni che portano la periferia a diventare sempre più un concentrato di dormitori. L'altro fenomeno è dovuto alla politica dei prezzi sulle case che spinge migliaia di famiglie a costituirsi (o a trasferirsi) in provincia in cerca di appartamenti a prezzo inferiore. E la città invecchia, ma soprattutto non trova in sè le forze e l'interesse ad inventare luoghi per i giovani che non siano la solita e scontata discoteca o il solito scontato locale dove spendere soldi per giocare.

A mio avviso occorre quindi ripartire dalla costruzione in periferia di luoghi di socializzazione assai banali, come le piazze ed occorre facilitare la nascita di esercizi commerciali minuti che rappresentavano lo stimolo a rimanere nel quartiere perchè lì ci si ritrova fin da piccoli. E' un processo elementare che va di pari passo con i grandi processi urbanistici e che, dimenticato, ha prodotto proprio ciò di cui oggi ci lamentiamo. La mancanza di quei valori tipici dovuti alla socialità ed alla frequentazione e che sono gli unici presupposti per far sentire la città un luogo di tutti.

E' ovvio che i processi elementari così come i grandi processi devono integrarsi reciprocamente e devono integrarsi, a loro volta, con progetti di crescita culturale (dalle occasioni per i corsi di pittura cui accenna Boari, ad altre occasioni di altro genere). Ma l'abitudine a sottovalutare l'importanza dei processi elementari ha prodotto, negli anni, lo spopolamento delle periferie non tanto e non solo dal punto di vista umano quanto dal punto di vista degli interessi e delle attività.

E' quindi altrettanto ovvio attendersi che le forme di aggregazione spontanee, del mondo giovanile, nate in un contesto del genere producano a loro volta un concentrato di rabbia e di frustrazioni da superare. Non si tratta di giustificarlo, ognuno faccia quel che crede in merito, ma si tratta di comprenderne i meccanismi per poi non cadere giù dal pero quando si legge che bande di ragazzini imperversano in centro rapinando i coetanei o che bande di scalmanati mette a ferro e fuoco lo stadio o la Corso Buenos Aires di turno.

Se davvero si vuol risolvere le questioni, a mio avviso occorre prima capirle a fondo e poi cercare di dare una risposta risolutiva.

Se posso aggiungere una considerazione mi ha fatto una certa impressione andare dal medico e trovarvi tante persone anziane, cosa confermatami dal medico, che lì si ritrovano anche per parlare fra di loro e "socializzare" i propri problemi di natura non medica. Una curiosa circostanza che mi ha fatto riflettere su quanto manchino in questa città gli spazi in cui comunicare ed intrecciare relazioni, anche le più normali.

Paolo
 
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